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giovedì 5 febbraio 2009
Un baritono Etrusco che incanta i palchi del mondo
Toscano, anzi maremmano e nipote di un vero Buttero, come ci tiene a puntualizzare. Conoscendolo scopri che lo spirito fiero, modesto e pacifico degli Etruschi di cui è appassionato, rivive in lui.
Dall’ energica stretta di mano fino all'ultima nota emessa dalla sua sontuosa ugola.
Sì, perché il personaggio di cui vi parliamo è un ambasciatore del bel canto. E’ Roberto Nencini, professione baritono con un pedigreè di tutto rispetto: contare i premi che luccicano nella sua bacheca e i riconoscimenti di cui è stato insignito è opera ardua. Basta solo dire che ha calcato le scene con la Ricciarelli, la Cossotto e la Casolla e sotto la direzione di Petre, Metha e Muti, tanto per dirne alcuni.
Nencini è però artista che non sta ingessato nel suo ruolo, ma che sfida sempre se stesso. Ha lavorato infatti in teatro e nel cinema sotto la direzione di Zeffirelli, Comencini, Laudadio e Steno e non ultima una sua recente incisiva incursione nel mondo del Musical. Era lui il possente Mangiafuoco del “Pinocchio”, messo i scena dai Pooh.
Sul palco è un portento. La sua voce è completa e lui è un interprete carismatico e con qualità innate da attore ora raffinato, ora irruento ora ironico.
Spente le luci del palco è invece un genuino, anni di ribalte non hanno scalfito l'uomo. Abbiamo scambiato due parole con lui e lo abbiamo raggiunto in un momento di riposo, nella sua amata Maremma. “Sono qua anche per portare avanti un progetto che ho a cuore da tempo”.
Di che progetto si tratta?
“Aprire una scuola di canto. Memore del mio dovere emigrare per studiare, voglio offrire una chance ai ragazzi di qua. Poi fra le tante richieste, ho ricevuto una che mi lusinga molto da Lima dove mi vogliono per un Requiem di Verdi.
Come mai gli artisti del bel canto sono ricercatissimi all’estero e quasi ignorati in Italia?
Qua da noi c’è più superficialità, i melomani rappresentano una nicchia. Dimentichiamo che i più grandi autori sono italiani ed impazziamo per la musica importata. All’estero invece adorano il bel canto all’italiana. Strano davvero!
Un peccato essere sconosciuti in patria e adorati all’estero?
No. E’ un impegno che fa gonfiare il petto girare il mondo sapendo che hai l’onore di rappresentare la tua patria.
Il pubblico estero com’è?
Attentissimo! Non perdono una nota…
Ha qualche episodio della sua carriera che ricorda in maniera particolare?
Risale al periodo del mio debutto al Festival Pucciniano di Torre del Lago. Fui invitato a cantare al cospetto di Simonetta Puccini, nipote del grande Maestro. Prima che cantassi, lei mi avvicinò e fu brusca nel dirmi: “Voglio proprio sentire come canta questo Edgard”. Alla fine della romanza mi domandò come mai non fossi stato presente alla Messa in Suffragio del nonno - mica potevo dirgli che non ero stato invitato – ed aggiunse: “Peccato, lei è proprio un cantante di quelli che sarebbero piaciuti tanto a lui!”
Si sente talvolta Maremmano sul lavoro?
Quando la situazione lo richiede tiro fuori la mia indole. Memorabile fu una volta ad Amsterdam, dove con il teatro pieno stavo per salire sul palco e la nota cantante italiana che doveva farlo con me fu colta dal panico. L’affrontai a muso duro e la spinsi letteralmente in scena. Cantò benissimo e dopo disse: “Sei proprio un Maremmano!” Beh da quel giorno siamo ottimi amici
Qual è l’emozione più grande provata mentre canta?
Un emozione intima che si rinnova ogni volta che canto in chiesa. Il mio canto è un mio ringraziamento per il dono prezioso della voce.
E professionalmente?
La prima volta che cantai al Duomo di Milano con 150 orchestrali e 200 coristi dietro a me e davanti una folla di 14.000 persone in religioso silenzio! Da mozzare il fiato.
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