Telefonavamo nelle cabine con gli spiccioli da 100, 200 lire e il gettone. In discoteca ci andavano i paninari alle 10 di sera, la nazionale di Pablito Rossi aveva appena alzato nel cielo di Spagna la sua terza Coppa del Mondo di Calcio e in tv le italiane impazzivano per Gei Hard e Sue Ellen.
Dall’altra parte dell’oceano Bill Gates era poco più di un ragazzo appena uscito dal suo garage e presidente degli Stati Uniti era ex attore dal ciuffo impomatato per cui si coniò il neologismo di edoniso reaganiano. Dall’altra parte del mondo, ad est, c’era la cortina di ferro, l’Unione Sovietica, gli scudi stellari, la guerra fredda agli sgoccioli e Reagan e Breznev si mostravano i muscoli a parole.
Erano i vanitosi e frivoli anni ’80. Quelli su cui cascò improvviso, lo spettro di una pandemia sanitaria mondiale. Quattro stronze lettere in fila sono state definite. In realtà trattasi di una sigla che ancor oggi terrorizza: Aids.
Con toni apocalittici fu chiamata la peste del ventesimo secolo. Un virus ignoto che faceva strage e su cui si montarono in fretta e furia inquietanti spot pubblicitari dall’alone viola. Calma, signori, si disse. Colpisce solo i tossicodipendenti ed i gay perché a morire come mosche sono solo loro. Una punizione divina? Mah, fose, l’importante è stargli alla larga. Il contagio avviene solo con contatto diretto di sangue? Mah, chissà, però è meglio non dargli nemmeno la mano e girarci alla larga.
Tanti bla, bla, bla sprecati, tanti esseri umani ghettizzati e così, dopo esser stati bollati anche loro come appestati, ci lasciarono nel silenzio anche personaggi del calibro di Rock Hudson, Freddy Mercury, Rudolf Nureyev ed Artur Ashe.
Il mondo era sconvolto, ma per fortuna quell’ex attore che faceva il Presidente yankee capì subito e dirottò sulla ricerca per combattere questo virus fiumi di dollari. Per capire, scoprire, cercar di trovare un rimedio, una cura, un vaccino…
Poi, passarono gli anni e in un mondo che tritura notizie alla velocità della luce, sul fenomeno Aids calò improvviso il sipario. Silenzio, meglio non parlarne.
Peccato che nel frattempo la ricerca avesse fatto passi da gigante mai visti nella storia dell’umanità e si fossero trovate le cure per almeno arginare il problema. La malattia non è stata debellata, intendiamoci, però si può tenere sotto controllo e allora perché parlarne?
Non è così. E questo inquietante silenzio fa si che oggi, anno di grazia 2008, non si parla più ai giovani di Aids, di prevenzione e soprattutto non si spiega che questo virus può colpire chiunque e chi ne è affetto può essere nostro padre, nostro fratello, nostro marito, nostro amico, etc… Pensate un attimo. Riuscireste a scansare queste persone considerandole degli appestati?
La malattia è trasversale: non legge carte d’identità, non seleziona sessi, ceti d’appartenenza o religioni. Se ne frega del nostro nascondere la testa sotto terra come struzzi. Basta dire che il 45% delle prostitute italiane dichiara di avere dai clienti richieste di sesso non protetto…
Un grido dall’allarme su questo silenzio così urlato che ha fatto impennare negli ultimi anni il numero delle persone infettate, è uscito dal sesto piano dell’Ospedale Santa Maria Annunziata di Firenze, più noto come Ponte a Niccheri. Questo grido è uscito da una bocca importante quella del Dott. Francesco Mazzotta, Direttore del Reparto di Malattie Infettive e luminare di chiara fama internazionale con un curriculum lungo pagine e pagine.
Ho raccolto questo grido ed ho scoperto a Firenze un centro d’eccellenza mondiale dove lavora ed opera uno staff di medici e ricercatori che curano sempre col sorriso sulle labbra e girano il mondo per far sapere a tutti cosa hanno scoperto nei loro microscopi.
Come entri nell’ascensore di Ponte a Niccheri e il tuo compagno di salita ti chiede: “che piano”e tu rispondi “il sesto” ti può capitare di vederti scivolare addosso un’occhiata bieca e intuire che quello cerchi di fuggire dall’ascensore. Sgradevole sensazione davvero che ti fa brutalmente capire cosa provano tutte quelle persone che come te schiacciano il bottone numero 6.
Arrivi su e la sensazione è invece molto diversa. E’ più che piacevole considerando pur sempre che siamo in un ospedale. Un day hospital caldo, vivace, con tanto via vai e molti giovani come te, in jeans e sorridenti, che si danno del tu con medici ed infermieri. Il primario ti viene incontro anch’esso sorridente ti accompagna, mettendoti subito a tuo agio, nel suo studio satollo di libri e carte e inizi a parlare.
Dottor Mazzotta, ho letto in dei flash d’agenzia che state reclutando persone per sperimentare un candidato vaccino anti-Aids. Detto così sembrava quasi un casting, ma siccome il tema è molto serio ed oggi di Aids se ne parla poco volevo approfondire…
Eccoci. Partiamo proprio da qui. Ci terrei molto a dire proprio che oggi, l’hiv è una malattia dimenticata!
Ma come se n’è parlato così tanto in passato e anche a sproposito e poco adesso?
Ribadisco che oggi l’hiv è una malattia dimenticata perché passa l’idea che si guarisca, ma non è così. Anzi, sta succedendo che proprio per la scarsità d’informazione oggi ci siano più persone che s’infettano rispetto a qualche anno fa e il fatto più grave è che tante di queste persone nemmeno hanno coscienza di essere sieropositivi. Oggi una persona su due si presenta in ospedale quando ormai è in Aids ed allora è più difficile tamponare.
Prima si facevano più controlli, da noi in ospedale venivano molte più persone a fare i test. C’era più paura è vero, ma c’era anche più consapevolezza quando ad esempio, si azzardava un rapporto a rischio non protetto, almeno le persone si ponevano il problema!
Oggi non è più così. Badi bene che questo è anche un grosso costo sociale perché i farmaci anti hiv in Italia sono garantiti dal sistema sanitario, per cui facendo più prevenzione si può abbattere anche questa voce di spesa. Anche fra di voi della stampa non si trovano più tante persone che si pongano il problema di informare su questa malattia.
Parliamo di vaccini. In questi anni ne saranno stati provati moltissimi immagino?
Sì, ma purtroppo ancora non abbiamo individuato quello giusto. Nessuno si è dimostrato fin’oggi in grado di prevenire o curare l’infezione.
Voi vi state occupando direttamente di vaccini?
Sì, stiamo lavorando su due candidati vaccini. Uno è quello che parte da uno studio nostro e si basa sull’osservazione di un gruppo numeroso di soggetti che si sono esposti per propria volontà all’hiv, sia in Italia che in Africa. Abbiamo osservato alla fine che alcuni di questi soggetti non si sono contagiati. E’stato allora interessante studiare e cercare di capire perché queste persone, pur essendo entrate in contatto diretto col virus, non si fossero infettate.
Quale la loro caratteristica di difesa naturale che gli differenzia dagli altri soggetti? Da questa domanda è partita la nostra ricerca, che è stata finanziata dalla Regione Toscana e siamo arrivati alla deduzione che in questi soggetti c’è una particolare risposta al virus a livello delle vie genitali: nelle donne a livello della vagina e negli uomini a livello dell’uretra. Qui ci sono degli anticorpi, detti di mucosa, che bloccano il virus.
Allora ci siamo chiesti perché questo avvenisse in alcune persone ed in altre no? Così siamo andati avanti cercando di capire se ci fosse qualche gene particolare a determinare questa cosa. Del resto, per assonanza una cosa analoga era capitata in una sperimentazione su dei topolini e lì si era scoperto il gene responsabile del fenomeno. Così la nostra clinica ha operato insieme agli immunologi del professor Clerici di Milano che hanno individuato questa particolare risposta e poi ci siamo appoggiati agli scienziati di genetica dell’Università di Osaka e alla fine siamo riusciti a trovare sull’uomo quel gene che, come sul topo, caratterizza questa risposta immunitaria. Se questo verrà accertato dalla comunità internazionale è chiaro che da quel momento potrà partire una ricerca più mirata per capire come utilizzare questa scoperta. Come creare un vaccino, che attraverso dei preparati da iniettare ad esempio localmente nelle persone che si espongo al rischio d’infezione, si possa stimolare la produzione di quegli anticorpi.
Non è una corsa facile. Ad oggi la nostra scoperta è già stata accertata da una rivista di un certo valore e adesso siamo in attesa della risposta di Nature Medicine. Speriamo vada bene, per noi sarebbe un conforto importante ai nostri studi ed uno stimolo ad andare avanti. Gli scienziati sono entusiasti, ma noi medici siamo sempre più prudenti.
Siamo ad una svolta perché poi da lì , potremmo partire con una sperimentazione che come sa passa attraverso più fasi.
Quanti anni ci vorranno?
Dal momento in cui siamo adesso si può dire dieci/quindici anni, però tutto dipenderà dall’entità dei finanziamenti. Del resto deve sapere che nell’hiv è successa una cosa mai successa prima in medicina. Gli investimenti fatti sui farmaci e la diagnostica hanno portato in tempi brevi a scoperte enormi che hanno avuto grosse ripercussioni su tutta la medicina. Oggi per qualsiasi ricerca ci si rifà sempre ai cosidetti metodi indiretti generati dalla ricerca sull’hiv.
L’hiv in medicina corrisponde più o meno allo sbarco dell’uomo sulla Luna. Un’avvenimento epocale che ha avuto ampie ripercussioni. Se a questo si aggiunge l’entità degli investimenti si può affermare che è stato possibile in pochi anni, portare avanti ricerche che in altri tempi avrebbero richiesto molti più anni.
E l’altro vaccino? Quello di cui state cercando candidati volontari alla sperimentazione?
In questo caso siamo in una fase più avanzata dei lavori. E’ questo il vaccino dell’Istituto Superiore di Sanità della dottoressa Barbara Ensoli che si basa su una proteina che inibisce la replicazione virale. Per questo candidato vaccino è stata già brillantemente superata la fase I (non è tossica) e la fase II (cercare il dosaggio giusto). Ora siamo ad una fase che si chiama II b, ovvero di allargamento di sperimentazione a tre a dieci italiani in tutto. Praticamente si cercano le conferme dei grandi numeri.
Adesso stiamo cercando di individuare chi ha determinati anticorpi per stimolarli. Può sembrare una contraddizione il cercare soggetti che abbiamo già questi anticorpi, detti neutralizzanti, ma se questi sono presenti in persone sieropositive vuol dire che non stanno funzionando.
Probabilmente ne hanno una quantità non sufficiente ed ecco così che il vaccino sarà utilizzato nei sieropositivi per stimolare la produzione di questi anticorpi. In questo caso quindi, il vaccino sarà quindi teraupetico.
Dopo questa prima fase di screening, fra due/tre mesi circa, partiremo con la sperimentazione vera e propria.
Come recutate queste persone?
Con un numero telefonico dedicato che abbiamo attivato insieme all’Istituto Superiore di Sanità, dove personale specializzato risponderà ai sieropisitivi che vogliono informazioni e prendere poi magari un appuntamento.
Non sarà un vaccino anche preventivo allora?
In questo momenti sono due gli studi in atto. Quello che si svilupperà qui da noi in Italia che gli ha appena illustrato.
Un altro parte invece in Africa e arriverà qui da noi solo in un secondo momento. Si tratterà di stimolare anche su soggetti sieronegativi questa risposta immunitaria per dimostrare che con questa protezione naturale, quando s’incontra il virus hiv non ci s’infetta.
Ecco perché lo studio adesso viene fatto solo in Africa dove, ahimè non c’è accesso ai farmaci e l’unica possibile forma di prevenzione è questa. Anzi, ci tengo a dire che il mio gruppo è stato richiesto dall’Istituto Superiore di Sanità anche per operare in Africa perché qui da noi ci sono molti medici che oltre ad essere bravi sono abituati a gestire, avendoci lavorato anni, anche le relazioni in quel continente.
Dottore, ci credete molto a questo candidato vaccino?
Come saprete questo progetto della Ensoli è ed è stato molto contestato culturalmente sia adesso che in passato, ma noi ci crediamo molto. Concettualmente l’approccio ci piace. Non so se segneremo il gol, ma sono certo che non sarà aria fritta.
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